martedì 1 novembre 2016

Ciò che resta...


















































On the Road - 25 Agosto


Respiro. A fondo.
Più di una volta.
Ore 7.49. Pronto. One shot, come da tradizione. Cambia il mezzo, ma io son sempre lo stesso. O quasi.
Tuttadunfiato, dicorsa, finoacasa. E sia! Sarà così. 700 km di strade ad alta percorrenza o autostrada, con un mezzo che ha quasi 50 anni, passando da Monaco, Innsbruck e Brennero. Io non sono ottimista, ho solo una immensa fiducia, ed è sempre così. Diversamente non sarei partito.

Bella mattinata qui, dai grandi Puff - che detta così...
Dicevamo.
Bella. O almeno credo! Dopo 10 giorni, finalmente una camera oscurata per riposare. Oramai non ci facevo più caso. Sapevo che, nel caso in cui avessi visto un po' di luce, mi sarebbe bastato volgere la fronte verso il lato più scuro della stanza. Ed invece oggi non è così! E checcaspita! Finalmente! A sud le cose cambiano, anche qui, anche al nord!
E comunque – rimembro tra me e me- ognuno è sempre più a sud di qualcun altro...
A è grandioso. Porta la colazione per tutti, recuperata da un bar vicino all'alloggio. Caffè e cose al pane e cioccolato. Carica giusta per il lungo tragitto. Sorseggio e bevo in questa dimora, strutturata un po' come una vecchia casa con corte centrale, circondata di edifici in legno e con una entrata abbastanza ampia da far passare tranquillamente il mio carrozzone che ho parcheggiato praticamente col bagagliaio di fronte alla porta di servizio della nostra temporanea dimora. Tanto per essere comodo.

Dopo la colazione si parte, stranamente in orario. È fresco fuori, ventilato, tutto sembra bello e azzurro, come la fascia superiore del vetro anteriore della mia Bella sferragliante, che protegge dal sole parte dell'interno dell'abitacolo. Direzione Bamberga, poi verso Monaco, sempre autostrada, corridoio europeo E45, che ben ricordo e che mi ha accompagnato qualche anno fa verso Sulmona. Questa strada parte da Karesuvanto in Finlandia e porta fino alla fine della terra, a sud dell'Europa, e anche un po' più in là, terminando a Gela. In sostanza, a parte qualche curva, sempre diritto. Salite impegnative e gravose ci attendono. Un po' guiderò io, un po' A, così, per dividere sperequamente la lunga corsa a piede pesante.

E si va, con finestrini aperti, senza l'inesistente climatizzatore, col rumore del motore a farci compagni ed il sole ad abbronzarci, anche all'interno dell'abitacolo. Il vetro degli anni 60 non è così antiUV, e gli occhiali da sole servono quasi quanto la crema solare... E con qualche magnifica ed ecologica fumata nera ci si arrampica sui monti. Che poi, suvvia, che quei macigni che annoverano 300 cavalli e 3 tonnellate di peso peggio fanno al nostro bel pianeta, rispetto alla mia cavalla pazza, che a pieno carico va, modestamente, con 16 km/l, in qualsiasi condizione o avversità.

Poche soste, solo alle stazioni di servizio: bevo io, e bevono i cavalli, in maniera abbastanza indifferenziata al distributore. E la gente va e viene, senza curarsi di nulla.

C'è una teoria. Che approvo. L'autore di tal teoria è conosciuto, è A.
È la teoria della
donna = manza o scrofa.
Vorrei darne notizia al mondo.
La fauna femminile locale fa qualche eccezione, lo si deve dire. Anzi, qualche eccezionale e notevole eccezione. Ma mediamente, qui, una donna di media età è tracagnotta, lineamenti poco lineari - tipo cantiere stradale - bionda o biondiccia, occhi azzurri, dall'andar ciondolante e poco poco sensuale. Peso medio notevole o comunque importante. Insomma, tutto è abbondante e un po' ampio. Peso e volume insomma, e stop.
E da qui prende le mosse la teoria.
Qui, se la donna non è fatta a cubo non la si fa uscire di casa. E se non ha un peso specifico importante, di un certo tipo, non la si ritiene neppure degna della cittadinanza.
Insomma, se la donna non è DONNA, ella non è, e basta.
E la teoria viene - quasi sempre - rispettata. La grazia della donna italica, in ogni caso, non ha rivali.

E via, andando di Autogrill in Autogrill. C'è folla in giro oggi. E tra la folla due ragazzi.
Diesel. E pranzo. Nulla da annotare. Finisco di cibarmi ed esco. Attendo gli altri per salire in auto e ripartire. Nell'attesa due ragazzi, uno biondo, molto biondo, altezza normale ed uno moro, più smilzo, chiedono un passaggio verso Verona. Girano il mondo, in autostop, e chiedono anche a noi. Ma non ho posto. Sono carico. Saluto e ripartiamo.
Saliamo verso l'Austria, salite impegnative, il sensore dell'acqua sale, pure lui. Tutto sale! Ma lei resiste, teutonica purosangue agee, e al primo Autogrill dopo il Brennero ci si ferma.
Lì incontriamo nuovamente i due ragazzi. Hanno trovato un passaggio intero, dritto, viaggio unico Monaco-Verona.
Ci si saluta, saremo entrambi nei nostri reciproci ricordi.

E poi via, verso Trento, Valsugana, Bassano del Grappa, e via, ancora più in là, con l'aria di casa tra le narici, campi, mais e industrie, paesaggio noto, e il rumore del motore negli orecchi. Col fischio della cinghia servizi che mi accompagna, e un rumore all'anteriore destro, probabilmente la testina della ruota macinata sulle devastate autobahn tedesche, piene di lavori e di polvere, di sassi e di detriti.
Ma la mia ferrata féra resiste, tranquilla, indomita. Non cede, mai. E corre e sferraglia su strade già battute, conosciute. Breve il percorso ancora, e la meta è raggiunta, dopo quasi 4000 chilometri, stranieri e lontani, campagne gialle e lisce, verdi, brulle, strade dritte ma tortuose, code e corse, sorrisi e cenni, motti e gesti, pollici all'insù, acqua. Odori e colori, birra e carne, sale. Bizzarie di varia natura e specie, camere speziate e maleodoranti, paesaggi vuoti e pur spettacolari. Corse leggere, a fil di gas, a favor di vento, pulite. Risate semplici e grasse. E quel che resta è questo. Depositato nella memoria, come il fondo del buon vino. E si porta a casa. Tutto. Perché tutto è quello che resta.

Home.

On the Road - 24 Agosto


Quasi 600 km oggi. E domani replica, con aggiunta. Si arriva a 700.

Mi sveglia il sole, quasi alle otto. Ed una pessima notizia, contemporaneamente. Leggo di Amatrice, Accumoli, Pescara del Tronto... Per quelle strade ci sono passato, due anni fa, lungo la SS4. Me li ricordo quei posti, quei luoghi... Due ruote e uno zaino… Ero uguale e divers da oggi, allo stesso tempo.

Mi alzo, e bevo un caffè. Con la testa un po' altrove. Un po' in Italia. E un po' qui. Oggi comincia la lunga strada per il ritorno. E comincia con la parte più dura. La strada da Amburgo verso sud è davvero aspra, piena di saliscendi, con lunghi tratti di lavori al manto stradale. Sarà bella tosta. Ma la mia fiducia è grande. Ringrazio in anticipo, e si parte, dopo una sosta, ennesima, ad un caffè di quartiere. In verità è una grande pasticceria, piena di cose alla tedesca: grandi. Abbondanti. Esteticamente belle e precise. Bontà mediocre. E non c'è niente da fare. Italia 1 - Krucchestan 0. Ci si consola anche così, in mezzo alla fredda terra di Germania. Fredda fino ad un certo punto. Con figure asiatiche che interloquiscono di lavoro con indigene manze a due zampe.

Scendo in garage, dove è riparata la mia belva. L'ho abbandonata qui, al sicuro, iersera. Ci aveva accolto lui, di cui non so il nome. Alto e un po' tripposo, con un inglese rude e rustico. Diceva di aver una Mercedes del 1984. Ma la mia è una signora. Lucida, ripulita dalla pioggia, lenta ma decisa.
Dopo aver portato giù i bagagli e dopo averli stipati nel bagagliaio, si parte, ancora, anche oggi, verso sud.
Salgo. Riscaldo. Accendo il motore. Accensione senza indugio alcuno. Faccio manovra per uscire dal parcheggio, con calma. Accelero ed emetto un fumo nero d'altri tempi... È tutto regolare. Va tutto come deve andare.
Giù i finestrini. Si parte.
L'aria è fresca, ma un po' nebulosa, il traffico è abbastanza persistente. Semafori. Curve. La cinghia secondaria di trasmissione che ringhia... Che bella giornata di sole!

In autostrada va tutto bene, al momento. Ma ricordo com'era la strada al contrario. Eterne salite e repentine discese. O viceversa. Lavori di asfaltatura. Ghiaino su strada. Camion. Bilici. Insomma. Un'orgia meccanizzata di ferraglia varia si metterà tra me e la meta. Ed è così infatti. A metà strada rimpiango le dolci, dritte, modeste strade danesi. Sempre quiete. Vuote... Verdi quasi! Con bestie varie a guardare me da entrambi i lati della strada. Come a chiedere: "ma che ci fai qui? Non lo so. In verità non mi Interessa affatto. Io respiro, rumino e defeco un po' dove mi pare e mi conviene...". Una spaziale estasi animale.
Con questi pensieri supero monti e valli, vedo il sensore della temperatura dell'acqua salire e scendere, più o meno velocemente. Regolarmente tra i 90 e i 100km/h. Il vecchio ferro che ho sotto al mio sedere non fa una piega. Va, con calma e sempre, senza fiatare, senza lamentele. Fumando e basta. Inzozzando le carrozzerie dei coupé e delle cabriolet tedesche, governati da vecchie frescone, giovani rampolli e macachi senza pelo vestiti da esseri umani. Anche correndo in auto la fauna umana è sorprendente. È un po' come se l'auto somigliasse all'autista, tipo... Cani che assomigliano ai padroni, ecco. Così. Verso Bamberga. E sorrido, rido e corro.

Brevi e leste soste nei corrispondenti degli italici Autogrill: bagno a 70 centesimi, caffè a 2,19 euro. Birra da mezzo a 2,20 euro. Questa è la Germania dove si mangia forte, si frigge molto e si gusta quello che c'è. Dove c'è poco da capire e molto da guardare.

E si arriva, fischianti, alla meta. Ci ospitano i signori Puff! In particolare la signora Puff ci accoglie. Donna alta, bionda, dalla camminata dondolante e cadenzata. Un po' rustica ma davvero gentile questa signora, che ci fa trovare in frigo 4 birre prodotte artigianalmente da un birrificio della zona!
L'accoglienza del sud! Che spettacolo! E tanto bello è pure il luogo che ci ospita. Pulito. Profumato. Leggero.

Ma si sa... Alle otto qui le cucine chiudono. Il tempo di arrivare e già si va a cena. In un tipico locale, con tipiche donne/giovenca: bionde, sgraziate, illiterate - anche il menù è scritto malamente - tronfie. Non tutte, ovviamente, qualcuna fa eccezione. Ne scorgo una in particolare: bella, questa davvero, asciutta, dai lineamenti morbidi e proporzionati, elegante, di garbo, a differenza delle bifolche che primeggiano e svettano tra la folla.

Il menù è ampio, e tra varie traversie linguistiche scegliamo la kottlett. Italianisticamente parlando, noi, le kottlett, ce le mangiamo con calma... Di pollo. Piccole. Magari accompagnate da un po' di verdura, e spruzzate di limone. E quindi...
No. Qui non funziona così. La kottlett è un macigno. Una consistente e smisurata braciola di maiale impanata e fritta, coperta di patate fritte. Con birra locale da mezzo litro. E dopo aver appurato che in Germania il limite alcolemico corrisponde a quello italiano, mi do alle gozzoviglie. Bevo, mangio, rido, quasi come gli insuperabili burini locali! E controllo che non ci sia polizia nei paraggi. Non si sa mai.

Finita la grassa cena si ritorna, sempre fischianti, in alloggio. Il mio fegato inizierà a ribellarsi. Ma al momento tutto va come deve andare. E va bene.
600km oggi. Lunghi.
E domani si replica. Sotto il sole europeo tutto è illuminato.

On the Road - 23 Agosto


Bella la sveglia nell'appartamento di Hanne. In questo edificio ottocentesco, in centro paese, l'aria che si respira è lieve. Cielo coperto ma temperatura gradevole. Ci aspetta un giro in centro. La città è al confine tedesco. Il centro è piacevole, con le sue case in pietra e gli ingressi delle abitazioni decorati o lavorati.
In tutto questo decidiamo di testare le delizie di un panificio locale: caffè lungo e specialità della casa. Pane al cioccolato. Nel frattempo chiediamo anche qualche informazione sul mercato locale e su cose da vedere.
Si crea così una piccola coda di persone borbottanti alle mie spalle. Capisco che non è il caso di chiedere oltre… L’aria germanica si fa sentire, più in là la gente era più carina.

In verità il paese è piccolo ma grazioso e, dipanandosi su una sola via principale, facile da visitare. Molti i locali per cibarsi, ben curati e pittoreschi. Belli i negozi, tra i quali un bazar immenso, sviluppato su 3 piani. Con un po' di tutto all'interno, dalle candele ai libri, dalle insegne in latta della Lmbretta ai giochi in legno per bambini, dai tessuti alle tazze. Tutto stipato e catalogato. Un labirinto. Dal quale uscire. In fretta.

Bancarelle e negozi vari. Tutto in una sola ed unica via. E un bar caffetteria ad incuriosirmi. La prima volta per un caffè, la seconda per il pranzo.
E non sbaglio. Non so bene cosa ho ordinato. Un panino. Con pane fatto all'interno del locale. Farina integrale. E all'interno formaggio, verdura, carne... Insomma. Buono. E definitivamente impegnativo! Esagerato, troppo esagerato! La birra non riesce a lenire la mole di questo piatto. Ma tant'è. Si deve ripartire. Destinazione Amburgo. 4, forse 5 ore di strada.

Percorso impervio, intriso di buche e di lavori stradali. Un macello che pagherò con il conta km che comincia a non funzionare, merito delle buche schifose e maledette di questa infame strada teutonica. Un paio di improperi e tutto è come prima. E pazienza. È. Così.
L'arrivo è critico. Amburgo è un caos totale: ci ritroviamo in un ingorgo dal quale fatichiamo sia ad entrare, sia ad uscire.
Ma troviamo l'appartamento.
In una palazzina, elegante, a 2 passi dall'arteria principale che collega la periferia al centro. Ma non importa. Tutto è buddisticamente retto in questo spazio. Dove regnano pavimenti in Legno e tappeti per la meditazione, dove anche il dentifricio porta una scritta mistica: "Ayurdent".

Giro nella piazza di questa pre-periferia, dove non manca nulla.
Cibo. Dal greco, che scimmiotta l'italiano e sbaglia le ordinazioni. Tralascio. La stanchezza inizia a farsi sentire.
Sbrigo due pratiche per lavoro.
E a letto.
Niente da dichiarare oggi.
Domani strada. Strada. Strada. Al caldo. Verso sud.

On the Road - 22 Agosto


Passa il mal di testa, alle 4 circa del mattino. Mi sveglio quando suona il telefono, arriva una email. La banca mi ricorda che ho pagato il modulo F24, ho pagato la bolletta del telefono, ho pagato il gasolio l'altro giorno. Belle notizie, non c'è che dire. Mi rigiro sul letto, cercando di non accorgermi del malevolo odore che proviene delle coperte.
Cerco di ignorare. Resisto. Strenuamente. Fino alle 8. Chè di più davvero non si può.

Mi rigiro prima di svegliarmi definitivamente. Ma alla fine cedo. Entro ed esco dal bagno, velocemente. Sto meglio oggi rispetto a iersera. Si vede. Nell'uscire dal tugurio allagato da qualche doccia mi si pone davanti una bionda ragazza, dalle forme floride, direi quasi abbondanti. Bionda di chioma, occhi azzurri, di media statura. Semi nuda, coperta a mala pena di un solo asciugamano. Ci salutiamo. Con molta nonchalant.
Le avrei volentieri chiesto cosa pensasse della sua stanza, dei locali in cui ha passato la notte in generale. Ma... Forse non era il caso. Non in quel preciso momento magari. Ma so che avrebbe sostenuto la conversazione. E io non sarei stato da meno, ganzo qual sono.

Va bene. Va bene.
Così è deciso. Oggi si lascia questo seminterrato. Probabilmente abusivo.
Decisione presa dopo aver visitato una "scuola nel bosco".
Tanto per essere chiari, una scuola nel bosco è una sorta di asilo. Ma non una asilo qualunque. Qui i cuccioli di essere umano vengono allevati all'aperto, in mezzo alla natura. Allo stato semi-brado. Tra galline, alberi, animali vari. Si sporcano, si lordano, si divertono e si inzozzano con la buona grazia dei genitori. E i ritmi della natura la fanno da padrone. Nessuno si lamenta, e tutto funziona, come nella normale società dei grandi. I bimbi si aiutano. A vicenda. E tutto fila liscio.
In questo posto vengo scambiato per un calciatore. La cosa mi fa piacere, e mi atteggio, coi bimbi, alla sport-star che non sono.
Trovo contemporaneamente una principessa inzuppata di fango. Di punto vestita, ma segnata dalla terra con cui ha giocato. Bellezza scandinava.

E poi via. Verso Tonder.
Perché Tonder?
Perché era impossibile rimanere nel bunker di Copenhagen. Davvero.
Lasciamo soldi ed appartamento, salutiamo frettolosamente la donna, Lucia – brasiliana dalla favela probabilmente, trapiantata a Copenhagen - che ci ha ospitato, e via.
Un contatto della prima notte in Danimarca, Hanne Marie ci ospita in un nuovo appartamento, a 300 e più km di distanza dalla capitale danese.
E si corre dunque. Veloci. Tra strade dritte e tir, ponti e acque e vento, e pioggia. Molta pioggia, tanta che ritrovo i vetri puliti e la macchina lustrata, tirata a lucido! Verso una meta semi sconosciuta, come tutto quello che mi circonda del resto.

Tutto è bello qui, in mezzo a questa piccola cittadina, famosa per il suo festival folk, uno dei più importanti d'Europa. Bella, vecchia e socievole, questa cittadina che ci ospita.
E arrivati troviamo musica e cibo, tutto sano e pulito.
Un gruppo un po' datato, ma agguerrito, anima la serata. Suonano bene questi danesi, vecchio stile, con tastierista donna, che par un incrocio tra una suora ed una hippy appena uscita dalla disintossicazione: bionda, bassa, tarchiata, a fiori e pantaloni a zampa. La donna di Christiania in sostanza. E tutto è normale, tutto è regolare.

E si riposa alla fine, in questo nuovo alloggio, profumato ed innocuo. All'ultimo piano di un edificio del 1800. Mi piace. Ci sto volentieri.
E dal sonno cado presto, dopo aver sbrigato un po' di lavoro, con le candele accese, sopra ad un vecchio tavolo, a farmi ancora compagnia.
Da domani si fa strada. Come è giusto che sia, si comincia tornare.

On the Road - 21 Agosto


Perlamiseria. Questa stanza emana un odore nauseabondo. Un odore indescrivibile, perché non è canonico, non è usuale o riproducibile. Non facilmente almeno! È un intruglio. E non mi piace.
Fortunatamente la percezione effettiva e cosciente di questo odore dura poco. Il tempo di alzarsi, passare lepre per il bagno - madido e puzzolente, pure questo- ed uscire. E di corsa. Con C.

Meta. Copenhagen, centro.
Svolgimento. Dopo il buongiorno, che si vede - e si sente- dal mattino, ci mettiamo alla ricerca di un autobus. Il numero 350S. Dove S sta per "'sto ca.spita di autobus". Dove S sta per “StaM*zza”.
Arrivati alla stazione del bus saliamo. Una sorridere e bionda autista ci saluta. E chiediamo il biglietto, presentandoci con 200 corone. Anzi. Io voglio bella figura caspita, e potendo far di meglio, ne sventaglio 500.
Lo sguardo della dolce autista mi fa intuire una cosa. Per un biglietto del costo di 24 corone, forse è un po' troppo presentarsi con un foglio intero da 500. Guardando più in profondità i suoi occhi, capisco che la donzella non ha il resto da darci. Molto bene.
Imprecando in italico idioma scendo. E scende pur C. Ora, di domenica mattina, il compito è duplice:
- trovare chi può cambiare 500 corone in pezzi utili a comprare un biglietto e
- attendere nuovamente l'autobus, il 350S.
Decido che è intelligente andare verso il centro città. Cercare un bar. Fare colazione. Spezzare il pane ed il foglio da 500 e trovare una stazione di posta del 350S.
Idea vincente.
Al distributore del paese trovo un bar; compro due caffè - versione brodo lungo, ma molto lungo - e due brioche. Spezzo il pezzettone da 500. Troviamo una stazione dell'autobus 350S. Ci imbarchiamo e, finalmente, ci dirigiamo verso il centro. Di Copenhagen!

Questo bus è incredibile. Credo che in quel giorno ci si girasse un film all'interno, e ci abbiano messo una serie di figuranti. Lo avranno fatto a posta per me. Il titolo del film era: "facciamo i buoni e aiutiamoci".
La trama era questa, che riporto stringatamente di seguito:
- se arriva una signora, anziana, tu, giovane uomo, lasci il posto ché il vecchio deretano danese possa riposare.
- se arriva una donna incinta, tu, vecchio decrepito danese, lasci che il giovane deretano della donna riposi, per mettere al mondo un figlio danese migliore.
- se entra una ragazza con bicicletta, tu, autista pachistano, danese, greco o italiano, lasci che lei entri e non fai storie.
- se sei un giovane uomo immigrato con bimbo in braccio, lasci che il vecchio deretano di un signore anziano di una qualsiasi nazionalità a caso possa riposare sul sedile di un nuovo autobus danese.
- e così via.
Mai visto cose del genere. Gentilezza, disponibilità nei confronti del prossimo, educazione e rispetto, indipendentemente da tutto, senza distinzione di nulla. Il tutto senza tregua e senza esclusione di colpi. L'autobus delle meraviglie. E ne esco meravigliato.

Dopo aver perso la fermata corretta, ci si ritrova comunque in centro. Giretto lesto, con sosta cibo. La città è piccola e tuttavia graziosa, niente da dichiarare.
Un giro al parco mi regala uno spettacolo di Burattini! Stile anonimo occidentale, con qualche spruzzatina western e nessun dialogo, tanto per non far torto a nessuno. Ammetto che tuttavia è stato difficile staccarsi dallo spettacolo. Era talmente anomalo ed anonimo che avrei voluto vederne il finale.
Ma qui la meta turistica per eccellenza è una. Anzi due.

La prima. La Sirenetta.
Odio questo genere di cose, lo premetto. Ma me lo impongo per cercare di "normalizzarmi". Quindi...
Cercando cercando, prima della vera Sirenetta, c'è una cosa. Una specie di sirena, modello Pamela Anderson, che si staglia sulla riva del mare. Era tanto grande e tanto pettoruta che, a vederla, si spera sia lei, la famosa Sirenetta.
Ma proseguendo, dietro ad un ammasso informe e odoroso di asiatici, si nota, con sommo dispiacere, che la Sirenetta è un'altra. Piccola. Poco avvenente. Tozza e in posizione piuttosto scomoda. In mezzo all'acqua. Tra l'altro una riproduzione dell'originale, più volte oggetto di attentati vari a testa, braccia, intero corpo ecc...
Sarà che in Italia è facile abituarsi al Canova... Ma signori, non aggiungo altro. E soprattutto mi rifiuto di fotografare. Ecco.

La seconda. Christiania.
Sorge su un una parte di isola, vicino a Copenhagen, un avanzo di civiltà hippy. È questa Christiania, enclave semi indipendente, composta di circa 1000 abitanti, nella quale quasi tutto è permesso. Bella la sua storia, nata nel 1971 e battagliera e battagliante per la sua indipendenza, Christiania è ancora viva, attiva, in ebollizione. E della sua ebollizione si vede e si sente il fumo, che trabocca ad ogni angolo. Oh. Bella Christiania. Un cantiere a cielo aperto. Attraversata di tutto. La terrò nel cuore, in questo momento breve ma intenso.

Finite le attrazioni serie è oramai sera. Mangiamo in un posto raffinato, in una piattaforma su un canale di Copenhagen.
Birra, affettati, formaggi, pane scottato e scuro; cose, varie. E deliziose. Con vista sulla gentaglia che passa a far festa, a bordo di motoscafi o barche più signorili. Polli e rampolli, e pollastre. Qualche manza. Insomma, uno zoo addomesticato. Paesaggio umano.

Dal cibo si passa all'attesa, con gloria ma senza lode. Il 350S m'ha da riportare a casa. O meglio, porta tutti, alla poco signorile, per non dire lurida, stalberga che ci ospita. A km di distanza sento già l'afrore dilavato delle lenzuola asciugate male, l'umidità che penetra aggressiva nelle mie ossa e tra i lunghi capelli, le narici dilatarsi all'effluvio disdicevole che sale dell'appartamento.
E sia.
Il mal di testa mi disturba e mi distruggere. C mi aiuta. E io riposo. Colpito ed affondato nella capitale vichinga. 0 km oggi.
No petrol, only legs.

On the Road - 20 Agosto


Ore 6, o giù di lì, poco importa. Involontariamente mi sveglio, presto, in questa gigantesca dimora d'altri tempi. È gigantesca anche ora, dopo che un incendio ne ha distrutta più di tre quarti qualche anno fa.
Dicevo. Vado verso il bagno e... Piove. Tempo grigio, vedo il vento piegare i rami degli alberi. Penso che così, almeno, avrò il vetro anteriore della macchina pulito, ieri non riuscivo a fare uno scatto, una foto, senza trovarmi in mezzo alla lente dei moscerini spiaccicati a caso durante i circa 2000 km percorsi per arrivare fino a qui.
Con questo pensiero torno a letto.

La colazione stamattina è molto "formale". Mangiamo tutti assieme, in una stanza che costituisce sia l'ingresso alla casa, sia l'area per la colazione. Ci sono degli estranei in casa, degli olandesi, che parlano inglese, con dei lineamenti orientali. In verità non ho ben capito questa famiglia multitutto; però, pur essendo ingombranti, parlano piano. Il loro è un rumore volumetrico, li si vede, li si percepisce, ma sono silenziosi tutto sommato... A differenza di noi.

E si parte. Non piove più. Destinazione Roskilde, e poi Copenhagen!
Oramai conosco queste strade. Le ho percorse tutte ieri per arrivare al BeB e per andare a mangiare. Stamattina, insomma, si tratta solo di un ripasso generale, tanto per veder se ho capito bene.
Verso Roskilde tutto funziona alla danese: liscio. Dritto. E costoso.
Faccio rifornimento. Il diesel di per sé non è costoso. E tuttavia non calcolo la commissione per il pagamento direttamente con carta. Risultato: credo di aver pagato un litro di diesel circa 1,55 euro. Ma su, non importa. Tanto il mio metallico destriero quadricilindrico sta consumando come una utilitaria. E fa lo stesso, suvvia. E riparto, con il pieno dorato nel serbatoio.

Per passare verso l'isola di Copenhagen, i nordici vichinghi hanno ben pensato di costruire un magnifico ponte, a sostituzione del servizio traghetto. Ottima idea, veloce! E lì devo attraversare.
Autostrada E20. Fino alla fine quindi, più passaggio su ponte. E andiamo.

Questo ponte è mastodontico. 12 km di ponte in mezzo all'acqua. Mi sovviene alla mente il fatto che si voglia farne uno del genere in Italia. Sorrido. E sorrido ancora, mentre accelero per passare su questo ammasso ordinato di cemento, ferro e asfalto.
Procedo verso Roskilde, alla volta dei Vikinghi.

Sosta cibo, al Gimlet. Un posto, quasi un postaccio. Molto carino, meta di musicisti e di personaggi border line, con una stagione di musica live molto interessante, gestito da volontari, dove si mangia divinamente, dove il rumore, al momento, per l’ora di pranzo, e poco.
Epoi si chende, di un chilometro, verso il porto.
Museo vikingo di Roskilde. In tutta la Danimarca, questa è l'unica attrazione storica. 5 barche, affondate nel porto per evitare che i nemici si potessero avvicinare troppo. Una barriera, simbolo della decadenza e della difficoltà di difesa dell'impero vikingo.
Entro. Anzi: entriamo, tutti.
Qui trovo una sorta di laboratorio che mostra e prepara i turisti al vero e proprio museo, lo stabile che ospita i relitti recuperati.
Grande pazienza, di questi archeologi, per recuperare tutto questo...
Guardo. Ammiro. E ripartiamo verso la macchina in quanti ci eravamo fermati.
Tappa in centro, in un baraccio composto da avvenente cameriera bionda, giovane, carina, garbata, e da ottima desolazione umana; attualmente il locale è frequentato, - o forse abitato - da personaggi alterati, ed un po' in difficoltà, particolare da non tralasciare. Non ne capisco la parlata, ma lo stascicar lo distinguo, e questi personaggi strascicano corpo e lingua. E così è, pure qui, in un qualunque sabato pomeriggio d'agosto. E mentre la nostra oste gioca a carte con il miglior cliente del locale, ci allontaniamo. Il gioco, in questo caso, è solo il preludio. Stasera usciranno insieme, ci scommetto - anzi, e diciamolo, lo so e basta. E saranno felici gli occhi marroni scuro di lei, incrociando quelli alti, biondi ed azzurri di lui, di aver perso e vinto sullo stesso bancone, mentre ingannavano l’attesa, mentendo al tempo che li voleva lì, ad aspettare che l’umanità presente scomparisse per chiudere la serranda ed fuggire. A far festa assieme. Fino alle 23. Chè poi qui tutto chiude, e le camere da letto, ed hotel ed alberghi si riempiono.
Ma riparto e ripartiamo, in auto. Direzione: sobborgo di Copenhagen.

Arriviamo in mezz'ora circa.
Parcheggio.
Stop.
Entriamo nel BeB. Noto un odore perfido di muffa e acqua stantia. Tralascio. Ma tralascio per far finta e non farlo notare agli immaginati immaginari. Così ci spostiamo tranquilli a mangiare.
Ma prima si tenta di ritirare moneta da un anonimo bancomat. Una ragazzina, di circa 10 anni, ci chiede, in inglese corretto e gentile, se abbiamo bisogno d'aiuto, noi, ovvero io e gli immaginari. Incredibile... Ma, a quanto pare, qui, al nord, è regolare e normale così.
Torno all'alloggio e muoio a letto. Esausto.
Domani sarò stanziale.